Utopia, la letteratura si fa carne viva
Intervista a Gerardo Masuccio, editor del marchio milanese
L’idea è nella radice del nome che scegliemmo, Utopia. Nel 2020 eravamo un gruppo di ragazzi con meno di trent’anni che, credendo nel valore dei classici contemporanei, scelse un progetto utopico. I numeri legati alla letteratura contemporanea raffinata…
Nata nel 2020, Utopia è ormai una realtà concreta nell’universo editoriale italiano. Titoli che mirano alla divulgazione della narrativa e della saggistica più raffinata della nostra contemporaneità parallelamente a un deciso sguardo al Novecento più fecondo. Un esempio concreto per spazzare il cliché che vuole che in Italia non ci siano né idee nuove né capacità per renderle carne viva. Ne abbiamo parlato con Gerardo Masuccio, editor del marchio milanese.
Il più recente dato Istat dice che gli italiani che leggono almeno un libro all’anno sono meno del 40%. Come nacque l’idea di entrare nel mondo editoriale in un Paese che non si distingue per l’alto numero di lettori?

L’idea è nella radice del nome che scegliemmo, Utopia. Nel 2020 eravamo un gruppo di ragazzi con meno di trent’anni che, credendo nel valore dei classici contemporanei, scelse un progetto utopico. I numeri legati alla letteratura contemporanea raffinata erano drammatici rispetto alla narrativa d’evasione. Ciononostante sapevamo che esisteva un lettorato forte di qualche decina di migliaia di persone, le donne soprattutto, che continuava a cercare riposte alle domande di senso sull’esistenza nella letteratura e a questo cuore della civiltà contemporanea ci siamo rivolti. Una fatica, ma Utopia cresce velocemente.
Il rifiuto degli istant book di celebrità della Tv e quindi di una grossa entrata garantita è molto apprezzabile ma al contempo immagino aumenti i vostri sforzi per far quadrare i conti.
Per la verità non è così. Ci sono lettori che cercano una specifica cifra letteraria e conseguentemente case editrici che, proponendola, rimangano al contempo coerenti a se stesse. Col nostro catalogo raggiungiamo un numero di lettori spesso più alto di una starlette.
In che modo si caratterizza la vostra ricerca di titoli da pubblicare?
Ci sono tre filoni. Un primo rivolto al recupero di importanti autori del passato la cui voce si conserva di una

straordinaria modernità. Cito Ottiero Ottieri, Massimo Bontempelli, Piero Scanziani, Camilo José Cela, assoluti giganti del contro canone. Un secondo riguarda la letteratura avanguardistico-sperimentale contemporanea con autori come Beatriz Bracher o Agustín Fernández Mallo, quel gruppo di scrittori a cui spesso la storia riconosce postumo un ruolo centrale nella scrittura ma che è il caso di conoscere prima che il tempo riconosca il credito che meritano, e infine il filone che porta alle periferie del mondo come, ma non solo, l’Africa e l’Asia, zone del mondo da cui arrivano stimoli culturali enormi. Cito Perumal Murugan, primo autore che scrive in Tamil, lingua nel globo parlata più del tedesco, pubblicato in Italia.
I vostri volumi sono molto curati anche nell’oggetto. Una grafica elegante che sposa razionalità del tratto e immagine coinvolgente. Quale ragionamento vi ha portato a questa scelta?
Ho sempre amato i volumi delle case editrici che scelgono la gabbia di copertina, come fanno, tra le altre, Gallimard e Adelphi, riprendendo una tradizione antica. Ne parlai con Giovanni Cavalleri, l’art director, che si mise subito a destrutturare le gabbie novecentesche per arrivare, con la scelta dettagliata dei colori e delle immagini, a un prodotto artistico da una parte in linea con lo specifico titolo e dall’altra a oggetti collezionabili, come peraltro ci chiedono tante persone.
Quali i numeri dei vostri titoli più venduti?
Più di 15.000 copie. Tra questi, ad esempio, i testi di Bontempelli, tanto per dire un nome.
Utopia ha il merito di aver ridato luce a un grande autore ingiustamente dimenticato come Scanziani. Cosa vi ha convinto e ci saranno altri titoli in futuro?
Sin da piccolo sono stato un lettore di Scanziani. Mio bisnonno possedeva un’edizione storica di Avventura

dell’uomo, che lessi a 12 anni. Fu un qualcosa di magnetico. Lo rilessi al liceo e, una volta entrato nel giro delle case editrici, non ho mai smesso di proporlo, ma con risultati fallimentari. Una volta che sono diventato editore è stata una scelta obbligata. A Milano mi incontrai con la vedova di Scanziani, Maria Giuseppina, arrivata da Lugano. Parlammo di quel titolo, di Libro Bianco ed Entronauti, e lei si fidò del progetto. Di Scanziani, come di qualunque autore che pubblichiamo, editeremo l’intera produzione letteraria.
In quattro anni di vita con Utopia, che idea si è fatto del mondo editoriale?
In realtà ho più di dieci anni di esperienza nell’universo editoriale, avendo lavorato per le più celebri case editrici come lettore, consulente e ufficio stampa esterno. È ancora una branca minima dell’economia nazionale, un settore in chiara decrescita, sempre più povero e non parlo del solo profilo commerciale. Povero di stimoli culturali. La più grande delusione è constatare il passaggio del ruolo decisionale dagli intellettuali ai burocrati privi di gusto e sensibilità letteraria.
Una scuola di pensiero attribuisce alla distribuzione il nodo primario dei mali che affliggono l’editoria italiana. È la sua posizione?
No, tutti sono correi. Nessuna parte può definirsi estranea. Molti grandi editori coprono l’intera filiera del libro e tante case indipendenti non operano alcuna selezione di ciò che pubblicano.
Avesse un incarico governativo, quali le prime decisioni per spingere la divulgazione del libro?
Approccio di partenza è il sistema scolastico. Se invece di stimolare la lettura la si impone che risultati speriamo di

ottenere? È ben sparuta la squadra di giovani che sui banchi sviluppa la propria curiosità e passione per la letteratura, la maggioranza non tornerà più a frequentare un libro. La differenza la fanno gli insegnanti. È lì che bisogna operare.
Quale il suo giudizio sulla letteratura contemporanea italiana?
Siamo fuori dai grandi giochi internazionali, ben lontani dall’essere influenti dal punto di vista letterario. Il nostro resta un approccio tradizionale, provinciale, ancora novecentesco, non sperimentiamo. Una nicchia di scrittori interessanti esiste ma, non avendo successo economico, non viene tradotta. Non è un male di quest’epoca. Già i Gadda, i Bufalino e le Ortese per la loro lingua non trovarono mai un’adeguata traduzione che rendesse merito all’originale scrittura. Diversamente da Pasolini e Calvino, la cui immediatezza contribuì al successo internazionale.
Quale il libro che non smetterà di rileggere?
Ferito a morte di Raffaele La Capria. Non esiste testo del secondo Novecento che riesca a pareggiarne la bellezza in ogni suo risvolto.
Corrado Ori Tanzi
[…] di una bella tifosa, un bambino simpatico o un tifoso buffo. È solo narcisismo di chi dirige le immagini, sotto non c’è […]
[…] apre con la consueta maestria il ventaglio sui fatti che hanno scritto il periodo in questione, i favolosi anni con cui il decennio è passato alla […]