Signor Beckett, si chiude!
Il romanzo d'esordio di Maylis Besserie edito da Voland
I ricordi danno la stura di quest’uomo che se ne sta andando. Il racconto di quanto il morire sia un mestiere difficilissimo da imparare perché, citando Francesco De Gregori, sia che abbia letto un milione di libri o che non si sappia nemmeno parlare, l’essere umano è inabile alla morte…
Lui è stato il padre del teatro dell’assurdo, Nobel per la Letteratura nel 1969, totem della scrittura teatrale del Novecento insieme a Eugène Ionesco e Harold Pinter. Lei è una scrittrice e produttrice radiofonica, natali a Bordeaux quarant’anni fa.
Samuel Beckett e Maylis Besserie s’incontrano nel romanzo d’esordio di lei, premio Goncourt 2020 e oggi disponibile per i lettori italiani che il francese non masticano grazie a Voland.
L’ultimo atto del signor Beckett
L’ultimo atto del signor Beckett è uno originalissimo libro di una bellezza assoluta. Un po’ monologo secondo la voce di Beckett, un po’ diario apocrifo in cui l’autore si racconta nei suoi ultimi mesi di vita da ricoverato alla clinica parigina di Tiers-Temps, e un po’ glaciale resoconto segnato dalle annotazioni che medici e infermiere scrivevano nei referti che raccontano dei comportamenti e dell’umore di colui che, tra gli altri, ha lasciato all’umanità, personaggi come Vladimiro ed Estragone, Molloy e Malone, nonché Godot, uno dei più grandi archetipi della letteratura senza tempo.
I ricordi di una vita
Beckett, malato e stanco, ha perduto ogni piacere per l’esistenza con la morte della moglie Suzanne e, nell’attesa di raggiungerla ovunque ella sia (cosa che avverrà poco più di cinque mesi dopo, il 22 dicembre 1989), riceve visite, continua a scrivere, non partecipa alla vita collettiva della casa di cura, riuscendo anche a uscire dal perimetro della clinica per una passeggiata.
I ricordi danno la stura di quest’uomo che se ne sta andando. Della consorte, ovvio, e di tutto ciò che ha composto la sua vita. James Joyce, in prima linea, di cui Beckett si considera “povero cagnolino” in ammirazione perpetua del suo maestro. Tornano a galla la madre, i suoi personaggi, il pensiero dell’eterno fallimento a cui è destinato per natura l’essere umano, ma per il quale (se solo attuato un po’ meglio di quello precedente) vale sempre la pena vivere.
Il corpo ai raggi X
E, inchiostro su pagina, riecheggia lo sforzo a tornare a diventare padrone delle funzioni elementari del fisico, in primis quella
motoria. Appunti minimali di una precisione assoluta che riportano al loro valore più alto movimenti che sì abbiamo dentro come calco ereditario di genus et species prenatale, ma che col tempo abbiamo interiorizzato scioccamente come atti dovuti per il solo nostro respirare ed esserci tra i viventi.
Finale di partita
Poi parlano le cartelle cliniche. L’osservazione oggettiva e fredda del procedere di quel corpo malandato, le note sulla condizione psicologica del paziente, la valutazione comportamentale di un uomo che nella sua camera scrive fino a nuovo giorno inoltrato e fa della solitudine e del silenzio il suo nuovo pane e acqua.
L’ultimo atto del signor Beckett è il racconto di quanto il morire sia un mestiere difficilissimo da imparare perché, citando Francesco De Gregori, sia che abbia letto un milione di libri o che non si sappia nemmeno parlare, l’essere umano è inabile alla morte. La ammette dal momento in cui accetta di vivere, può scendere nel suo strapiombo per cercare di scorgerne il volto più autentico o giocarci con l’arte, ma non c’è natura o cultura che ci possa fornire gli strumenti perché il suo arrivo sia indolore. Da Maylis Besserie, un finale di partita da giocare intensamente come lettori.
Corrado Ori Tanzi
[…] letterario eccezionale. Allo stesso tempo, la disuguaglianza e la segregazione sono ancora grandi problemi sociali. C’è anche, proprio come in Svezia, la necessità di migliorare la cultura della […]