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Simenon e le sorelle dell’odio

Le sorelle Lacroix edito da Adelphi

Simenon è un pittore letterario che affronta la tela col nero a perfetta gradazione di tono. Ma è anche nella lettura che si concentra grande parte della grandezza del romanzo. Siamo davanti a pagine scritte da un maestro della scrittura, colui che fa della lentezza della lettura un encomio…

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Una famiglia della borghesia di Bayeux, terra del Calvados. I Lacroix, patronimico che in città, per il ruolo di notaio del fu capostipite, dice ancora qualcosa. In assenza del vecchio, sono le sue due figlie, Matilda e Poldina, coi rispettivi mariti, figli, figlie e domestica a creare il mondo vivo dentro cui mette le mani Georges Simenon con Le sorelle Lacroix che Adelphi ha appena dato le stampe, dando nuova linfa, in sede di traduzione, all’edizione italiana Mondadori del 1960.  

Microcosmo infernale

Scritto nel 1937 e pubblicato inizialmente in cinque puntate l’anno successivo su La Revue de France e successivamente nella celeberrima cornice Gallimard, il romanzo è il racconto di un microcosmo infernale in cui, anticipando di decenni David Lynch, la superficie è solo una maschera patinata della realtà che si anima qualche centimetro sotto.

Il clima familiare è un girone dantesco con una ragazza in preda a esaltazioni da santo martirio, tentativi di avvelenamenti, dubbie paternità, quadri disegnati da chi viene considerato meno di una nullità umana, piani per fuggire, suicidi, segreti rinfacciati con sguardi di disprezzo, silenzi minacciosi e una tensione che non ha mai fine, anche nei momenti più tragici della famiglia.

Ma su tutto e tutti le due sorelle, Matilda e Poldina. L’odio che covano e a cui danno forma è un sentimento così puro da rasentare l’opera d’arte. Non si tratta di consuete meschinità, ricatti da genitore e subdoli comportamenti, quanto di un humus vivendi che fa scrivere a Simenon: Non si riusciva più a capire chi era spiato, chi era sospettato di nascondere qualche cosa”.

La geografia del veleno  

La stessa casa in cui vivono, bella, costruita su tre piani, diventa man mano un carceriere che impone uno spazio da cui è impossibile trovare una via d’uscita che liberi i protagonisti.  Ma le due sorelle Lacroix non vogliono scappare. Quello è il loro Eden, il giardino in cui potersi guardare reciprocamente di sottecchi, sospettarsi, detestarsi nel modo più denso e pesante possibile. 

Le quattro mura sono il loro brodo naturale in cui odiarsi senza ipocrisia, parlarsi tramite sottintesi. Il salotto, le camere da letto, la cucina, l’atelier all’ultimo piano preparano alla perfezione la geografia

perché il dispotismo dell’una riesca ad affrontare il veleno dell’altra.

Lettura lenta 

Simenon è un pittore letterario che affronta la tela col nero a perfetta gradazione di tono. Ma è anche nella lettura che si concentra grande parte della grandezza del romanzo. Siamo davanti a pagine scritte da un maestro della scrittura, colui che fa della lentezza della lettura un encomio che non ha eguali nel mondo della letteratura, mai scordarselo. Il lettore non può procedere veloce, se vuole assaporare il mondo che il libro gli apre davanti. L’uso dei termini, lo snodarsi dei dialoghi, il governo del tempo narrativo impongono a chi legge (anche) per Le sorelle Lacroix un passo modello che siamo obbligati a tenere. 

Ma, letto l’incipit, che il lettore prosegua come Simenon impone è un fatto su cui non si accettano scommesse.  

Corrado Ori Tanzi

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