Maschere di Marina Notaro
Intervista alla celebre saxofonista sul nuovo album edito dalla Da Vinci Classics
Siciliana di nascita, trapiantata a Milano dove suona in diverse orchestre, Marina Notaro pubblica il suo primo disco e lo fa nel più difficile dei modi, proponendosi come unica interprete di composizioni (sei scritte apposta per lei e tre adattamenti) da compositori contemporenei come Alberto Di Priolo, Orazio Sciortino, Angelo Sormani, Fabio Massimo Capogrosso, Nelly Li Puma, Massimiliano Viel, Giulio Marazia, Giorgio Colombo Taccani, Leonardo Marino…
L’entusiasmo che trasmette Marina Notaro quando suona è difficilmente definibile. Lo si capisce molto dall’accordo che instaura tra lei e il suo strumento, una concordanza che sa di amicizia, passione e trasporto. È vero che si sono scelti per caso (come ci racconta in questa intervista), ma poi tra lei e i suoi saxofoni (perché la “famiglia” è composta da diversi elementi), l’intimità sembra non avere fine. Siciliana di nascita, trapiantata a Milano dove suona in diverse orchestre, Marina Notaro pubblica il suo primo disco per l’etichetta Da Vinci Classics, e lo fa nel più difficile dei modi, proponendosi come unica interprete di composizioni (sei scritte apposta per lei e tre adattamenti) da compositori contemporenei come Alberto Di Priolo, Orazio Sciortino, Angelo Sormani, Fabio Massimo Capogrosso, Nelly Li Puma, Massimiliano Viel, Giulio Marazia, Giorgio Colombo Taccani, Leonardo Marino.
Un disco di saxofono solo (con alcune incursioni di elettronica), che vuole tratteggiare un percorso sonoro nell’articolato panorama della produzione italiana contemporanea per questo strumento. Partiamo proprio dal titolo dell’album (Maschere) per capire meglio questo progetto.
Partiamo dal titolo, perché “Maschere”?
«Questo mio primo album è incentrato sull’esecuzione di nove brani di nove compositori differenti, ognuno con un proprio background, un proprio linguaggio e un proprio modo di comunicare un messaggio.
L’atto di portare una maschera implica, da sempre, il desiderio di cancellare o nascondere temporaneamente l’individualità del soggetto, sostituendola con un personaggio diverso. Il portatore della maschera impersona l’essere raffigurato in essa, e tale rappresentazione equivale a una vera e propria identificazione.
Nella storia dell’essere umano il teatro e la musica sono sempre andati di pari passo e, in riferimento ai tanti aspetti che queste due nobili arti hanno in comune, mi piace pensare che sia l’attore che il musicista svolgono lo stesso identico compito, ossia quello di fungere da tramite tra l’autore/compositore e il pubblico, dando vita alle opere attraverso il corpo/strumento, il tutto coadiuvato dalla sensibilità interpretativa. Ecco il perché della scelta del titolo: “Maschere”, in questo senso, è la coesistenza di più identità che trovano nella resa del brano la propria natura».
Nell’album hai inserito musiche composte apposta per te e altre rivisitate. Ci puoi raccontare come è avvenuta la selezione degli autori a cui hai chiesto di comporre per te?
«Sono tutti compositori verso i quali nutro grandissima ammirazione, li stimo tutti molto come musicisti e mi piace il loro modo di scrivere, il loro stile compositivo. Una volta avute le idee chiare sul lavoro che intendevo portare a termine ho chiesto la loro collaborazione. Alcuni di loro, al momento, hanno scritto poco per il saxofono; con questo album ho voluto mettere in gioco il mio strumento per esplorare nuovi orizzonti sonori tramite la loro creatività, oltre che mettere in gioco me stessa come interprete».
Credo che non sia mai facile approcciare una musica inedita. Come hai preparato la registrazione del disco? Hai avuto ripensamenti durante la registrazione?
«Sicuramente non è facile approcciarsi alla musica inedita perché non hai dei riferimenti che possano darti una chiave di lettura.
Molto spesso, quando ci si trova di fronte ad un nuovo brano, si utilizza materiale audio già registrato per avere una prima visione generale.
La sfida per un interprete resta quella di dare voce e corpo a qualcosa di nuovo, a questo campo inesplorato che è la partitura inedita, attraverso la propria sensibilità e cercando di aderire il più possibile alle intenzioni del compositore. È per questo che ogni volta l’esecuzione di un brano ha qualcosa di unico e di differente: è in questo, secondo me, l’unicità e la bellezza della musica e per questo motivo non ho avuto ripensamenti durante le registrazioni. Ho cercato in quel momento di predispormi al meglio nel dare il massimo che ogni interprete cerca di offrire, nella ricerca continua di una ideale empatia con chi quelle note le ha scritte».
Esiste oltre a quello strumentale un legame tra i diversi brani che compongono il disco? Un “fil rouge” emotivo, un percorso sonoro o altro ancora?
«Più che un fil rouge è un lavoro a mosaico, in cui ogni autore è come una tessera a sé stante che racconta il proprio mondo, la propria dimensione artistica.
Da parte mia, infatti, non c’era l’idea di rappresentare un tema specifico, ho dato ai compositori piena libertà di esprimersi attraverso le loro opere.
La caratteristica di Maschere è proprio il “non legame” tra i brani, come spiegavo anche prima».
Scorrendo la tua biografia ho notato che il primo approccio con la musica è avvenuto in una banda, ci vuoi raccontare questa esperienza e come poi hai scelto di far diventare la musica la tua professione?
«Ho mosso i primi passi nel mondo della musica nella banda musicale del mio paese, S. Agata Militello in provincia di Messina, un piccolo paese della Sicilia. Quando ero piccola non vi erano altri stimoli artistici, la banda dunque era un importante mezzo di coesione sociale e un’occasione per imparare uno strumento musicale.
Avevo circa otto anni quando entrai per la prima volta nella sede della banda. Ho iniziato a studiare il solfeggio e in seguito mi hanno proposto di studiare il sax o il clarinetto, essendo queste le due sezioni che avevano bisogno di un ampliamento di organico. Ero insieme ad una mia amica, tutte e due volevamo suonare il sax e, tirando a sorte, il caso ha voluto che il sax venisse a me!
La banda per me è stata una fucina importantissima, sia per quanto riguarda il “suonare insieme agli altri” e la formazione musicale di base, sia per quanto riguarda il mio sviluppo personale. In banda ho creato, infatti, dei bellissimi rapporti di amicizia che durano ancora oggi… Suonare insieme genera sintonia e condivisione profonda di emozioni che raramente nascono nella condivisione di altre attività.
Presa dalla passione nata e cresciuta grazie alla “mia” banda, ho proseguito gli studi in maniera professionale entrando al Conservatorio di Palermo con il M° Gaetano Costa. Poi mi sono trasferita a Milano, dove il M° Daniele Comoglio mi ha guidato dal vecchio ordinamento fino al conseguimento del diploma accademico di II livello.
Ho completato il mio percorso di studi al Conservatorio della Svizzera Italiana di Lugano, dove ho conseguito il Master of Arts in Music Pedagogy sotto la guida dei Maestri Raphael Camenish e Frank Schussler.
Questo percorso mi ha permesso anche di avere delle belle soddisfazioni che sono culminate in collaborazioni con le più importanti orchestre italiane come la Filarmonica della Scala, I Pomeriggi Musicali, il Maggio Musicale Fiorentino».
Lo strumento che suoni è soprattutto protagonista nell’ambito della musica jazz, cosa vuol dire portare le sue sonorità in un mondo sofisticato come quello della “contemporanea”?
«In realtà il jazz influenza la musica scritta per saxofono già da parecchio tempo, non solo nella musica che noi oggi definiamo contemporanea, basti pensare ad autori come G. Gershwin, P. Woods, Schulhoff, D. Millhaud, J. Ibert, etc. Ma oserei dire che quasi tutti i compositori che fanno parte del “repertorio classico del saxofono”, che si è sviluppato in maniera più incisiva dal secondo ‘900 in poi, hanno tutti, o quasi, influenze da qualsiasi genere di musica “extracolta” (jazz, folk e poi rock e pop). Quindi questo processo di influenza viene già da prima, è come se fosse insito nella letteratura saxofonistica».
Oltre a continuare la tua professione all’interno di un’orchestra, quali saranno i tuoi prossimi progetti solistici, ed hai ancora dei progetti nel cassetto che vorresti esaudire?
«Sicuramente ho intenzione di portare avanti “OverLap”, un progetto di ricerca e sperimentazione sonora che unisce la musica dal vivo (saxfoni ed elettronica), la Visual art e l’installazione sonora che ho ideato insieme a Matteo Castiglioni.
Ho poi in cantiere anche altri progetti discografici che abbracceranno uno sguardo ancora più sperimentale».
Riccardo Santangelo
[…] altri strumenti, canto e persino ingegneria audio hanno seguito questo primo desiderio di insegnare a se stesso […]