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TATATU di Margherita Fava

Intervista all'artista

È un’anima antica. Non ho mai incontrato nessuno che alla sua età sappia scrivere pezzi così carichi di emozione. Anche quando Fava decide di cimentarsi in qualcosa di “hip” o in armonie complesse, la sua musica rimane melodica. Ogni elemento mantiene una componente lirica e cantabile. La vivacità e la naturalezza compositiva presente in questo disco di esordio, che si colloca nel solco di un jazz tradizionale…

Il primo disco in cui era presente come musicista Thelonious Sphere Monk lo registrò quando aveva 27 anni. Si era fatto le ossa come pianista fisso al Minton’s Playhouse, uno dei night club di Manhattan dove si sviluppò negli anni ’40 il grande jazz che apprezziamo ancora adesso. Quel disco però non lo incise da solista, ma all’interno del Coleman Hawkins Quartet. 

Forse sono partito in modo un po’ troppo fragoroso, e per presentare una giovane artista fare paragoni troppo ingombranti non è mai vantaggioso. Ma Margherita Fava ha 27 anni, pubblica il suo primo disco con il titolo “TATATU”, e lo fa a suo nome, capitanando una band di artisti statunitensi. E con Thelonious qualcosa ha da spartire, non solo l’età del debutto!

Margherita Fava

TATATU di Margerita Fava

Margherita è nata nel 1995 nel paesino di Follina (in provincia di Treviso, uno dei borghi più belli di Italia), in una famiglia di musicisti classici (più precisamente di musica medioevale e barocca). La madre Elisabetta de Mircovich è violoncellista dell’ensemble LaReverdie e il padre Giorgio Fava è primo violino de I Sonatori de la Gioiosa Marca. Fin da piccola ha intrapreso studi musicali, prima il pianoforte e poi il basso elettrico; ma è l’incontro con il jazz, durante un Summer Jazz Workshop di Veneto Jazz, che segna la sua strada. «E’ stata la cosa più esaltante che mi fosse mai capitata fino a quel momento!» afferma Margherita Fava. Così ad appena diciassettenne decide di approfondire le radici afro-americane della musica jazz, prima in Italia e successivamente, trasferendosi sei anni fa, negli Stati Uniti per studiare pianoforte alla Michigan State University. In breve tempo si fa notare: una giovane donna, bianca, di formazione classica che con determinazione, perseveranza, passione, diventa una compositrice e pianista jazz molto apprezzata.

TATATU

Rodney Whitaker, bassista di fama internazionale, direttore di un dipartimento Jazz nell’università del Michigan, insegnante di Margherita Fava e produttore di “TATATU”, di lei afferma: «È un’anima antica. Non ho mai incontrato nessuno che alla sua età sappia scrivere pezzi così carichi di emozione. Anche quando Fava decide di cimentarsi in qualcosa di “hip” o in armonie complesse, la sua musica rimane melodica. Ogni elemento mantiene una componente lirica e cantabile». Una bella dichiarazione di talento che coglie a pieno la vivacità e la naturalezza compositiva presente in questo disco di esordio, che si colloca nel solco di un jazz tradizionale. 

In “TATATU” troviamo otto brani: sei scritti dalla musicista italiana e due standard, “All The Things You Are” (di Jerome Kern e Oscar Hammerstein III) e “Rhythm-A-Ning (di Thelonious Monk): ecco che Monk ritorna. Ma Margherita non è sola in questo disco; come già detto si mette a capo di un quartetto di musicisti costituito da lei, Gregory Tardy (clarinetto e sax tenore), Javier Enrique (contrabbasso) e Michael J Reed (batteria)… ma lasciamo a lei stessa la presentazione di questo disco.

Partiamo dall’inizio. Figlia di due musicisti classici. Come è stata la tua educazione musicale?

I miei primi ricordi legati alla musica sono i duetti che cantavo con mia mamma sin da molto piccola. Canoni medievali a due voci

Margherita Fava TATATU by Jacob Hale

(mia mamma è una ricercatrice e musicista medievale) o vecchie canzoni italiane, oppure degli esercizi di “ear training” che per me erano giochi da fare in macchina per passare il tempo. A 10 anni ho cominciato a studiare pianoforte classico fino ai 15-16. Poi ho smesso perché mi ero disinnamorata della musica classica e ho cominciato ad imparare a suonare il basso elettrico. Poi tramite la scoperta del jazz sono tornata allo studio del pianoforte.

Perché hai scelto di orientarti verso il jazz? Cosa ti ha spinto a fare questa scelta?

Mi sono presentata ai corsi di Veneto Jazz nel 2014 senza sapere nulla di jazz, mi ci mandarono i miei genitori per farmi fare un’esperienza educativa estiva. La prima mattina durante le audizioni che si tenevano in modo da smistare i vari partecipanti secondo vari livelli di conoscenza dello strumento, mi è stato chiesto di suonare uno standard. Io non avevo idea di cosa volesse dire e ho suonato un pezzo che stavo studiando all’epoca, una “Toccata” di Khachaturian. Più tardi lo stesso giorno ho ascoltato “So What?” di Miles Davis per la prima volta e su richiesta dell’insegnante di pianoforte lì al workshop, ho imparato il solo di tromba a orecchio quella sera stessa e l’ho suonato di fronte alla classe la mattina dopo. Tutt’ora mi sento energizzata ripensando all’esperienza. La natura improvvisativa e ritmica della musica Afro Americana mi ha affascinato a tal punto che da quel momento in poi mi sono dedicata completamente a quello.

“TATATU” è il tuo primo disco. Come è nato? E perché questo titolo?

Da quanto mi dice mia madre, “Tatatu” è stata la prima frase che abbia mai articolato quando avevo poco più di un anno. Mi raccontano che quando qualcuno cercasse di aiutarmi a fare attività del tipo mangiare, vestirmi, ecc., io stizzita dicevo “Tatatu” come per significare che non volevo essere aiutata ma che preferivo arrangiarmi da sola. Siccome questo mio primo album è stato composto, arrangiato, finanziato da me, ho voluto scegliere un titolo che incarnasse questa natura indipendente.

Non è da tutti debuttare con un disco da bandleader in terra straniera, imponendo la propria visione del jazz a chi l’ha inventato?

Margherita Fava TATATU by Jacob Hale

Trovo che la musica sia più un mezzo di comunicazione che un’invenzione appartenente a qualcuno di specifico. Ho imparato una nuova lingua, sia parlata che suonata, e adesso mi esprimo con essa.

La maggior parte dei pezzi che hai inserito nel tuo disco sono di tua composizione. Raccontaci a cosa ti sei ispirata e quali sono i tuoi modelli di riferimento?

Ogni pezzo ha una storia diversa, sono spaccati di vita vissuta, sensazioni che ho provato o immagini che ho tentato di dipingere sonicamente. Non seguo un processo lineare in quanto a composizione. Alcune mie fonti d’ispirazione sono artisti come Herbie Hancock, Booker Little, Donald Brown, Wayne Shorter, ma tento sempre di mantenere una vena originale ed autentica.

Oltre ai tuoi pezzi ha registrato due brani di altri autori: “Rhythm-A-Ning” di Thelonious Monk e “All The Things You Are” di Jerome Kern e Oscar Hammerstein II. Perché questa scelta?

Sono due standards che ho suonato molto durante i miei anni di università e quelle melodie sono permeate così a fondo nella mia mente che la mia creatività le ha rigurgitate in modo rinnovato e in linea con il mio stile.

Dopo gli studi musicali qui in Italia hai scelto di continuare negli Stati Uniti. Per quale motivo hai fatto questa scelta? Il livello dell’insegnamento in Italia non era adeguato alle tue aspettative?

Principalmente per motivi socio-musicali. Appena mi sono resa conto del ruolo che la cultura Afro-Americana gioca nello sviluppo della musica del XX e XXI secolo, sapevo che avrei voluto avvicinarmi il più possibile alla fonte per imparare al meglio la storia e la natura dei suoi suoni. E sette anni dopo il mio primo trasloco posso dire di star imparando moltissimo e sono tuttora contenta della scelta che ho fatto.

Cosa hai trovato oltreoceano che qui in Italia non potevi avere?

Ho trovato una cultura che mi permette di esprimermi musicalmente e personalmente in modo libero e in sintonia con i miei pensieri. Ho trovato molti amici e incontrato persone in cui non mi sarei mai imbattuta stando in Italia. Ho trovato speranza, mezzi e motivazione per rendere i miei sogni realtà. Ho trovato anche ostacoli, difficoltà e delusioni, ma fin ora il bilancio rimane positivo.

Oltre a te in “TATATU” suonano altri tre musicisti, come è avvenuto l’incontro con loro? E per quali motivi li hai scelti?

Al sassofono sentirete Gregory Tardy, musicista che vanta collaborazioni con Elvin JonesTom Harrell, Bill Frisell, solo per

da sinistra a destra, Rodney Whitaker, Javier Enrique, Margherita Fava, Greg Tardy, Michael Reed (Foto di Jeff Dunn).

citarne alcune. È stato il mio insegnante di composizione all’Università del Tennessee quindi la sua impronta in questo progetto è molto importante per me. Michael Reed e Javier Enrique erano miei compagni di corso quando ero alla Michigan State University durante il loro Master. Suonavamo spesso insieme quando studiavamo lì e loro due hanno sviluppato un legame forte che sapevo avrei voluto sfruttare per un mio progetto. Michael è originario di Toledo (Ohio) e Javier è originario del Nicaragua ma è cresciuto a Miami. Infine Rodney Whitaker, produttore dell’album è un mio mentore da quando mi sono trasferita in America ed è una figura molto importante nell’ambito del jazz americano, sia come bassista, compositore ed educatore. La sua visione della musica mi ha sempre affascinato ed ispirato grandemente quindi è stato un onore averlo a bordo per questo progetto.

Quali sono i compositori e i musicisti jazz, del passato e d’oggi, che più ti hanno influenzato?

Thelonious Monk, Herbie Hancock, Cedar Walton, McCoy Tyner, John Coltrane, Wayne Shorter, Tom Harrell, Geri Allen, Gerald Clayton, Ultimamente sto ascoltando diversi artisti brasiliani tra cui Milton Nascimento, Pedro Martins, Toninho Horta e Airto Moreira.

Nell’ambito dei generi musicali diversi dal jazz (per esempio folk, popular, elettronica, classica) hai degli artisti che ami ascoltare, o magari di riferimento?

Ascolto un mucchio di generi diversi, ma se devo fare qualche nome direi David Bowie, Jeff Buckley, Subsonica, Depeche Mode, Michael Jackson, Bluvertigo, Luigi Tenco. Tra gli artisti pop di adesso seguo Rosalìa e PinkPantheress. E mi piace molto ascoltare musica Balinese che utilizza ensemble di Gamelan.

Per ora sul tuo sito vengono segnalati solo concerti negli Stati Uniti, ci sono in programma altri appuntamenti. Magari in Italia o in altri paesi europei, o ancora in Asia?

Sicuramente! Semplicemente non sono ancora pronta per annunciarli ma ci saranno anche date al di fuori degli Stati Uniti molto presto!

Forse è ancora presto per chiederlo, visto che l’uscita del disco è freschissima. Hai progetti futuri? E magari sogni nel cassetto?

Certo. Fare un tour internazionale è in cima alla lista per adesso, ma ho già cominciato a lavorare sulla musica per il prossimo disco e mi piacerebbe collaborare con diversi musicisti, americani e non nel futuro prossimo, e mi sto organizzando per far succedere tutto ciò il prima possibile!

Riccardo Santangelo

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