Sport Crime : una serie TV che tiene con il fiato sospeso
Intervista a Luca Tramontin produttore e interprete della serie
Sport Crime è trasmessa su Chili. Una serie televisiva per raccontare cosa gira intorno alla pratica sportiva (professionistica o dilettantesca), estendendo però la visione anche al mondo della musica; dove la preparazione fisica è di primaria importanza. I rocker si allenano, si disintossicano, studiano il palco, hanno figli sportivi, nipoti che nuotano. Come si diceva prima è tremendo che si pensi allo sport solo come Coppa dei campioni e record mondiali. Gli atleti vanno ai concerti, le squadre hanno inni, musiche di entrate in campo, stacchi musicali per le pause o le penalità. Non so nemmeno dove sia il confine….
Chiamatelo come volete: sceneggiato, telefilm, fiction, teleromanzo, teledramma, soap opera, film TV, serie, serial, o altro ancora… ma in ogni modo la “scrittura per la televisione” è diventata la forma di intrattenimento audiovisiva più invasiva nella nostra vita. La sua invenzione parte da molto lontano, dalla fine degli anni ’30 con le prime trasmissioni televisive e negli ultimi anni ha avuto uno sviluppo notevole, anche grazie alle piattaforme digitali per la fruizione di contenuti multimediali d’intrattenimento.
Per essere più chiari le varie Netflix, Prime Video, Raiplay, Chili, Disney Plus, Apple TV+, Paramount+ e molte altre ancora. I format sviluppati su queste piattaforme sono i più svariati, e orientati a tutti i generi di pubblico; ma è certo che quelli che più sono presenti (per numero e taglio narrativo) rientrano nella categoria “crime”. Poliziotti, investigatori, patologi, avvocati, detective… tutti intorno alla soluzioni di delitti e misteri. Ma il “crime” non è solo alla presenza di un cadavere: ci può essere un crimine anche in altri campi. Come quello sportivo, in cui la spasmodica voglia di arrivare a prestazioni sempre più estreme, porta gli atleti ad aggirare i codici di leale competizione.
Sport Crime
A tutto questo mondo hanno pensato di rivolgersi Daniela Scalia e Luca Tramontin, scrivendo, producendo e interpretando la serie televisiva italo-svizzera “Sport Crime“, trasmessa dal 2022 e che è possibile vedere sulla piattaforma Chili. Entrambi arrivano dal mondo dello sport raccontato (hanno lavorato soprattutto per Sportitalia) e praticato (football australiano, rugby, cricket, hockey su ghiaccio) e hanno ideato questa serie televisiva proprio per raccontare cosa gira intorno alla pratica sportiva (professionistica o dilettantesca), estendendo però la visione anche al mondo della musica; dove la preparazione fisica è di primaria importanza.
Gli episodi di “Sport Crime” hanno come punto centrale le indagini dell’agenzia di consulenza sportiva SEAMS, fondata da Daniela Goblin (interpretata da Daniela Scalia), ex giornalista sportiva e conduttrice TV e Luka “Dabs” Kriv (Luca Tramontin), ex rugbista. Lo scopo dell’agenzia è quello di intervenire in ambito strettamente atletico, ma i due protagonisti si trovano coinvolti in casi con risvolti a volte criminali, per esempio nell’ambito dell’abuso di sostanze illecite, oppure traffici sospetti, o ancora nella preparazione fisica di un vecchio rocker.
Per comprendere meglio come è nata l’idea di questa fiction a sfondo sportivo, abbiamo parlato con Luca Tramontin: come già detto sportivo ad alti livelli in vari sport (specialmente rugby, football australiano e hockey su ghiaccio), commentatore e autore di programmi TV.
Come vi è venuta l’idea di realizzare “Sport Crime”, una serie che parla dei “crimini” nello sport?
Si parlava di serieTv, ho «brontolato» che ne esistevano su tutti i mestieri e gli angoli del mondo tranne che sullo sport. Daniela ha detto «la facciamo noi». Io ho un master in scrittura televisiva, ho inventato un nome semplice: Sport e Crime.
Dagli episodi in programmazione si capisce che il vostro intento è soprattutto quello di porre l’attenzione verso una specifica etica dello sport. Tu che sei stato un atleta ad alti livelli, cosa ne pensi di come la pratica sportiva venga vissuta, sia nell’ambito professionistico che quello amatoriale?
Troppi pensano di non essere portati. È un crimine sanitario che riempie gli ospedali in vari modi. Invece le persone che passano per le nostre sgrinfie si allenano, rinascono e trovano euforia esistenziale: sportivi, non sportivi, artisti, rocker, pittori, soprattutto disabili, nella vita e nella serie otteniamo i risultati più grossi con le persone teoricamente “diversamente abili”. Ci sono troppi pregiudizi, in Italia poi… C’è ancora l’idea del povero soffrire per ottenere beneficio fisico, del sacrificarsi per la forma. Il programmino del tuo amico… quello della app… Le palestre ti rendono dipendente, senza di loro (dicono) deperisci. E danno lo stesso programma a cento persone che hanno schiene, metabolismi ed esigenze diverse. Terribile.
Le location in cui sono state girate i vari episodi sono molto diverse: c’è una scelta precisa per questa decisione?
Sì, abbiamo un codice inflessibile fatto di due parole: sconosciuto e magnifico. Abbiamo capito da Montalbano, da Pinocchio, da
Sherlock Holmes che le persone visitano i luoghi della grande narrazione. Da un secolo almeno. Ti piace la serie, ci vai in vacanza. Lavoriamo solo con comuni e persone entusiaste di promuovere il loro territorio. In teoria tutti gli amministratori lo sono, in pratica però sono pochissimi. Sui manifesti elettorali fanno i sorrisoni e dicono “viva il mio territorio”, poi quando c’è da collaborare un po’ perdono la mail nello spam.
Nell’agenzia di consulenza sportiva SEAMS oltre a te si muovono altri personaggi, ognuno con un ruolo diverso: puoi raccontarci in breve i loro elementi distintivi?
«Legal Lady» è l’avvocata rigida nella quale si identifica il non sportivo, fa le obiezioni che fanno da casa gli spettatori non atleti,
che sono la maggioranza netta. Jaden è la tecnologia, il Trap, l’essere «Black» orgogliosamente ma con un’autoironia spettacolare, che l’attore (Toussaint Mavakala) ha anche nella vita. Dani è la direzione, il dinamismo, la potenza femminile atletica e cerebrale. Justin Keller è l’America «da soap», quella che ha rappresentato in «Beautiful», ma che fatica a relazionarsi con rapporti psicologici non monetari. Jasmine è la segretaria sveglia, intelligente e sgobbona, studia medicina e lavora part time, è circondata da personaggi estremi e permette di capire come si rapportano il normale e l’extraterrestre, e come possano andare d’accordo sempre che si “guardino” nel modo giusto, permettendo a humor e rispetto di avere ruoli dominanti e non nominali. Jasmine e Jaden insieme sono uno spasso, uno spasso intelligente e giovanissimo.
Il personaggio di Dabs, interpretato da te, si muove su più piani: è un po’ preparatore sportivo, un po’ guru dell’alimentazione e un po’ detective. Come hai costruito il personaggio?
Sono io al 99%. Daniela e un altro produttore che non posso nominare hanno deciso di cucire la sceneggiatura intorno a me, mi hanno solo cambiato il nome e qualche dettaglio. In pratica… non recito. Sono contornato da poteri femminili forti, in senso molto positivo, come Dabs e come Luca Tramontin. Sono stufo dei femministi in teoria, i femminist chic… da noi davvero le donne comandano, gestiscono, affascinano, e… placcano!
Nella visione di “Sport Crime” si viene colpiti dall’abbigliamento del tuo personaggio. Chi ha avuto l’idea di inventarlo e ha un significato specifico?
Sì, fin da ragazzo mescolavo l’abbigliamento sportivo a quello dei miei viaggi, tessuti africani, pezzi di Sari indiani, braghe da boxe, maglie da rugby e sete pakistane, giacche da teppista e veli sacri. Anche qui Dani e un’altra collega hanno deciso di farne un marchio. Ci sono dentro i miei sport, il mio rock, i miei viaggi. Prima di Ruck in the ‘70s (“ruck” è un’azione del rugby, ndr) tutto l’etnico era solo codificato come esile e new age, mai legato a muscolacci e Iron Maiden. Torniamo al tema del femminile: Daniela e altre amiche hanno notato che le persone chiedevano dove comprare i miei folli vestiti, che mi fotografavano, e – ancora – hanno codificato e industrializzato qualcosa che io faccio di istinto teppista.
Ma “Sport Crime” non è solo attività sportiva. Infatti in due episodi all’agenzia di consulenza sportiva SEAMS gli viene affidato il compito di rimettere in forma un vecchio rocker: nello specifico Robin Le Mesurier, chitarrista e storico collaboratore con Rod Stewart e Johnny Hallyday. Come è avvenuto l’incontro?
I rocker si allenano, si disintossicano, studiano il palco, hanno figli sportivi, nipoti che nuotano. Come si diceva prima è tremendo che si pensi allo sport solo come Coppa dei campioni e record mondiali. Gli atleti vanno ai concerti, le squadre hanno inni, musiche di entrate in campo, stacchi musicali per le pause o le penalità. Non so nemmeno dove sia il confine. Robin Le Mesurier prima di diventare chitarrista era uno studente cricketer con esperienze di rugby. Gli ho telefonato, alleno delle rockstar, una mi ha detto «avete dei percorsi opposti ma simili, andrete d’accordo». Ha partecipato con entusiasmo alla preparazione delle riprese, studiando i miei brani e fornendo foto e altro materiale personale. All’arrivo in aeroporto a Verona ci ha abbracciato e ha voluto subito fare un giro notturno della città.
Cosa vi ha portato a coinvolgerlo nella serie?
Un’antica preferenza. Robin è, anzi era, il classico musicista da musicisti. La chitarra ritmica perfetta, Elton John e Robert Palmer hanno cercato per secoli di averlo sul palco. Il grande pubblico preferisce i solisti, io sono un fanatico di sezione ritmica, Keith Richards, Joe Perry, Robin Le Mesurier, Jim Cregan.
Robin è figlio di John Le Mesurier e Hatti Jaques, come dire Vittorio Gassman e Sofia Loren inglesi. Non ha mai voluto recitare prima. Ha accettato anche per ricollegarsi con il cricket e la recitazione del padre John. E con il sogno della mamma di vederlo attore. Robin era il vero gentiluomo del rock, lo hanno detto Ron Wood, Kiefer Sutherland (l’attore di «24» con il quale stava preparando un disco), lo hanno detto tutti. Voleva dormire con gli sportivi, seguiva anche le scene che non lo riguardavano, raccoglieva le bottiglie da riciclare, si fermava sul divano per ore con me e Daniela per sapere la storia dei miei brani, dedicava attenzione alle donne delle pulizie che volevano sapere di Rod e di “D’ya think I am sexy”.
Questo ha un lato negativo, quando un assessore dell’assessore ti tratta con superiorità diventi violento.
La presenza della musica nella serie non è secondaria. Tu stesso sei un musicista e autore della colonna sonora. Perché avete fatto la scelta di mischiare sport e musica? E qual è la musica preferita da Luca Tramontin?
Mi alleno ascoltando i Motorhead, appoggio i pesi e leggo la biografia di Chris Rea, corro e canto. Ancora: non so davvero dove sia il confine, è la mia vita, fatta di pesi, mate (la bevanda argentina che si vede sia nella serie che nella quotidianità), riff di chitarra, hockey, cricket…
Ho sempre pensato di essere un rocker da cantina, poi però sono entrati nella mia vita personaggi come Robin e i fratelli Gallo
(celebri produttori musicali del Digital Lake Studio, ndr) e mi hanno spiegato che avevo in mano musica di valore. Per fortuna certi paragoni sui miei brani li ha fatti Robin e sono stati filmati, altrimenti non ci crederai nemmeno io.
Quando la prima stagione sarà esplosa andrà a traino il disco della colonna sonora (“Kantrida in the ‘70s”).
Per ora si può trovare la prima stagione della serie sulla piattaforma tv Chili, ma ne sono previste altre e ci puoi dare delle anticipazioni sui temi che verranno trattati?
Stiamo producendo la seconda stagione e intanto “sistemiamo” la 3 e la 4, decidendo luoghi e persone. È una macchina rotatoria entusiasmante. Essere in anticipo ci permette di scartare chi tira lungo e premiare chi merita, e ovviamente conviene a noi e alla serie. Sia chiaro che lavoriamo per soldi, ma anche per i soldi di chi collabora e si prende enormi e meritate visibilità attraverso Sport Crime.
La Stagione2 mi piace ancora più della 1. Forse è un po’ troppo “colossal” a tratti. Nella “1” ci siamo dedicati un po’ di più alla psiche, ai momenti intimi degli atleti, nella due c’è un po’ più… “Boom!”. La terza vede l’entrata massiccia di temi che sembrano distanti dallo sport, ma si capirà con grande shock che non è così. Esempiaccio? Occultismo e sport.
La prospettiva internazionale, quanto è diverso fare una serie per la nazione in cui si produce e vive o invece per il mondo?
Tutto diverso. Vado di esempi. Quando una tv maggiore voleva co-produrre Sport Crime ci ha detto di togliere il cricket perché “lo giocano quattro gatti”. Il distributore internazionale invece dice “Wow”, così entriamo nel mega-mercato indiano: è lo sport più giocato al mondo insieme al calcio. Idem per Robin Le Mesurier: “roba di nicchia” hanno detto. A Cannes invece ci hanno detto “bravi, così prendete il pubblico francese via Johnny Hallyday e tutti i Rod Stewart Fan Club vi faranno promozione gratuita”. Un’altra logica insomma, per noi l’Italia è uno dei 200 paesi dove saremo trasmessi.
Vedi il caso degli accenti: “Uè! Si capisce che quel giocatore non è un attore, quel rugbista ha l’accento veneto, quel pugile napoletano, quel hockeista altoatesino”. E chi se ne importa quando sei doppiato e sottotitolato? Ma avete visto Montalbano e Gomorra nei canali BBC o France2? In lingua originale secca-secca. In CSI addirittura chiedevano agli attori di forzare gli accenti regionali, se lo fai da noi sei provinciale. Sì, proprio un’altra logica, infatti ci siamo sganciati e spostati (anche con dispiacere) fuori dall’Italia. I canali italiani compreranno le immagini di Casale sul Sile – e gli accenti veneti – dalla California con costi enormi.
Riccardo Santangelo