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“Solo i miracoli hanno un senso stanotte in questa trincea”

di Michele Gazich, una coproduzione Moonlight Records/FonoBisanzio, distribuzione IRD

Per quanto si dibatta se il tempo esista o non esista, esso è un elemento che ci accompagna, scandisce, si allunga o accorcia, in tutta l’esistenza di un individuo. Quello che si è preso Michele Gazich per completare i brani presenti nel
suo nuovo disco è un tempo lungo sedici anni…

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Il tempo è la cosa più importante: esso è un semplice pseudonimo della vita stessa” scriveva Antonio Gramsci in una lettera dal carcere indirizzata a Tatiana Schucht, sua cognata, che fu per il leader comunista il collegamento tra la famiglia d’origine e il partito. E per quanto si dibatta se il tempo esista o non esista, esso è un elemento che ci accompagna, scandisce, si allunga o accorcia, in tutta l’esistenza di un individuo; ed è personale come lo spazzolino da denti. Ognuno ha il suo che può gestire in modo autonomo, dove può anche “appoggiare” alcune cose per poi
riprenderle in un attimo successivo.

“Solo i miracoli hanno un senso stanotte in questa trincea”

“Solo i miracoli hanno un senso stanotte in questa trincea” di Gazich

Quello che si è preso Michele Gazich per completare i brani presenti nel suo nuovo disco (“Solo i miracoli hanno un senso stanotte in questa trincea”, una coproduzione Moonlight Records/FonoBisanzio, distribuzione IRD) è un tempo lungo sedici anni. Un periodo che l’ha visto vivere, lavorare (pubblicando molti dischi), meditare, riposarsi, annientarsi e ritrovarsi in piccole e grandi città, da questa parte del mondo ma anche oltreoceano. Intervallo che gli ha permesso di mettere in “bella copia” varie ispirazioni: meditate, sedimentate, appuntate, corrette, riviste, e che in qualche modo hanno avuto urgenza di venire fuori, complete, solo adesso.
Perché un tempo così dilatato? Nella presentazione del disco Gazich ci racconta: “ho scritto quest album in un periodo lungo anche per i miei standard già abitualmente biblici: dal 2008 al 2024. anche le registrazioni mi hanno impegnato per un tempo insolitamente lungo: dal 29 settembre 2017 al 16 novembre 2024. non ho avuto fretta, nel frattempo ho pubblicato altri album e ho vissuto. tenevo da parte tutte mie le canzoni più belle, con l’idea che avrei lasciato un bel ricordo al momento della mia morte. pensavo a questo album come al mio album postumo. ma poi è stato troppo forte il desiderio di cantare e di far conoscere queste canzoni. ho pensato che esse, come avevano aiutato me a vivere per tanti anni, così potessero fare anche per altre persone”.

Michele Gazich lo scrittore di canzoni

Bresciano di nascita, ma legato per discendenza e scelta di vita al nordest europeo, con alle spalle studi classici, collaborazioni con artisti nazionali e internazionali (tra cui Moni Ovadia, Massimo Bubola, Mark Olson, Eric Andersen, Massimo Priviero, Michele Shoccked, Mary Gauthier, Gualtiero Bertelli),

Gazich (PH Daniela Foresto)

Gazich non ama definirsi cantautore, ma “scrittore di canzoni” (traduzione dell’anglosassone “songwriter”). Da sempre Michele ha fatto sua la cifra stilistica di pubblicare dischi che avessero un legame con il mondo circostante e al contempo fossero intrisi
di riferimenti culturali. Così anche in “solo i miracoli hanno un senso stanotte in questa trincea” le scelte operate sono ben chiare; e trovano sintesi in due sue affermazioni (pubblicate sul libretto che accompagna il
disco). La prima spiega meglio il titolo scelto: “viviamo immersi in una realtà, in un presente così tremendo e incredibile (cioè difficile da credere), al punto che, almeno per me, è stato ed è più semplice credere ai miracoli”. La seconda la decisione grafica di non usare le maiuscole nei testi di commento dei brani: “in un (probabilmente vano) tentativo di porre in equilibrio un mondo in cui troppi tendono a darsi la maiuscola, in questo libretto troverete solo lettere minuscole”.

Un Disco pieno di fiducia

Due affermazioni che si pongono su un piano pedagogico (quasi politico), e che ancora meglio Michele ha voluto chiarirci in una piacevole conversazione: “È un disco pieno di fiducia. La realtà che ci circonda è veramente incredibile, difficile a credersi; però continuo ad avere fiducia nell’ uomo e a credere nel miracolo. E il miracolo è essenzialmente l’esistere: la miracolosa bellezza, malgrado tutto, dell’esistere. Anche se tutti i segnali, come dire, annunciano qualcosa di tremendo, io celebro in musica e parole il miracolo”. Andando più nello specifico ci spiega: “Il brano ‘la resa’, ad esempio, che è il pezzo che mi è più caro, è una macro canzone d’ amore, e invita ad arrendersi all’amore, al miracolo, alla bellezza, ancora o per la prima volta. Arrendersi per me è qualcosa di estremamente positivo. La resa è vita, è futuro”.
In questo nuovo disco poi entrano prepotentemente, ma come in punta di piedi, Johann Wolfgang Goethe, Giovanna d’Arco, Marc Chagall, Wolfgang Amadeus Mozart, Yves Bonnefoy, Paolo Finzi, Franz Joseph Haydn, Friedrich Hölderlin, Franz Schubert, Fabrizio De André, Francesco De Gregori, Ludwig van Beethoven e altri ancora, ma il tutto, piuttosto incredibilmente, suona come solo i dischi di Gazich suonano, cioè non somigliano a nient altro che a Gazich.

Nove pezzi oltre il genere della canzone

“Solo i miracoli hanno un senso stanotte in questa trincea” di Gazich

Nove pezzi e soltanto due musicisti coinvolti: l’autore (violino, viola, pianoforte, percussioni psicoacustiche, voce) e Giovanna Famulari (violoncello, melodica, voce), che si pongono l’obiettivo di andare oltre al genere canzone (fine già percorso da Michele in altri suoi album, ma in questo con ancor maggior determinazione). Per far questo, Michele prende ispirazione dalla tradizione del classicismo viennese (Haydn, Mozart e Beethoven) e del primo romanticismo tedesco: accosta la canzone d’autore alla musica “colta”, in una sorta di nuova produzione liederistica dove la poesia (ma anche liriche più popolari) hanno sempre incontrato la melodia più raffinata. In questa direzione – ci conferma Gazich – è la scelta di riecheggiare, e significativamente proprio nel nell’incipit del primo brano dell’album (‘perché goethe è partito per l’oriente?’), la musica del lied che apre il ciclo di lieder ‘Winterreise’ di Franz Schubert;. Importanti allusioni mozartiane e beethoveniane innervano poi ‘la resa’ e ‘heiligenstadt’. Ma andando oltre codesta lettura, in questo disco lo “scrittore di canzoni” racchiude anche un tributo al mondo femminile che in vari periodi ha riempito la sua vita.

Sanguedolce

Nel brano “sanguedolce” viene evocata Giovanna d’Arco, ma la dedica è anche per la sua compagna d’avventura Giovanna Famulari, “incarnazione, epifania e vera presenza di Giovanna d’Arco oggi: ne porta il nome come uno scudo e un vessillo”. In “alice nel paese di Chagall” l’omaggio è per l’omonima donna che è rimasta accanto a lui per parecchi anni, e gli ha ispirato precedentemente diverse composizioni.

La Resa

Mentre il brano “la resa” è scritto insieme a Sofia Pavan, attuale moglie di Gazich: “le parole mi sono state date da chi mi ha portato alla resa, da Sofia che apparve circonfusa di luce il trenta di luglio 2019 nella piazza della cattedrale di concordia sagittaria”. Tuttavia il riconoscimento al “femminile” va anche oltre, come lui stesso ci racconta : ” E’ proprio il disco in cui io mi confronto con il femminile, a partire dal fatto

Gazich e Famulari (PH Maurizio Malabruzzi BK)

che tutto l’album è stato suonato con una donna. L’ unica musicista che suona con me è Giovanna Famulari. Per la prima volta non è “il maestro dell’ anima” Marco Lamberti, che mi ha sempre accompagnato. è invece Giovanna, a cui ho dato un ruolo da coprotagonista. Anche chi dirige il mio ufficio stampa, la bravissima Daniela [Esposito], è una donna. Il progetto grafico e’ stato
curato da due donne, Angela Iussig, e Manuela Hüber. Infine il disco dialoga con quanto di femminile è in me. Tutti abbiamo una parte femminile che è la più bella: quella dell’arte e della creatività”.
Se poi si riconosce alla poesia (che non deve per forza esprimersi nel verbo) una funzione politica, che diventa più attuale in anni bui come questi, nondimeno nell’album si può trovare anche una lettura in ambito sociale. In questo senso vanno letti brani come “solo i miracoli hanno un senso stanotte in questa trincea”, che ci pone davanti alla sconcertante possibilità di credere ai miracoli per uscire da questi anni difficili; e “materiali sonori per una descrizione dell’anima di Paolo F.”, composizione solo strumentale dedicata a Paolo Finzi, anarchico e fondatore di “A-rivista anarchica” (che diresse fino al giorno della sua morte): “era un asteroide: libero, diverso dal mondo che lo circondava, il suo pensiero impattava deciso. paolo era nemico delle circonlocuzioni”, così lo ricorda Gazich.

Oceano

Oceano” è l’unico brano non a firma del compositore bresciano, ma scritto da Fabrizio De André e Francesco De Gregori. Un omaggio a due grandi autori e a una visione inusuale della prassi poetica: “questa è la canzone delle domande che fanno i bambini. Cristiano De André ha raccontato più volte che Francesco De Gregori e suo padre la costruirono partendo dalle sue parole, dalle sue domande quand’era bambino. ma è anche, piuttosto misteriosamente, la canzone del “poeta sconfitto”: il poeta che si perde in un oceano di parole maledettamente poetiche ma fluttuanti e in cerca di un significato”.
Per la densità e lo consistenza artistica del disco e della sua prassi compositiva, ogni brano andrebbe raccontato nella sua complessità, ma si rischierebbe di dimenticare qualcosa o, peggio ancora , di banalizzare alcuni aspetti essenziali, o non cogliere sfumature importanti. Come quando si rilegge un’opera come le “Lezioni americane” di Italo Calvino, per comprenderne ancora qualcosa di più, ma ci si accorge che qualcosa sfugge sempre.

Riccardo Santangelo

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